Foto Opera d'arte busto di Cesare

Fotografare la Storia: il busto di Cesare e la fotografia di opere d’arte”

La testa rappresenta Giulio Cesare in età avanzata ed è impostata su un collo sottile e leggermente ruotato, con due rughe parallele. Il volto squadrato mostra mento largo e mascella pronunciata, con rughe naso-labiali ai lati del naso e della bocca sottile, catturata in un leggero sorriso che forma una fossetta sulla guancia. Gli occhi piccoli e tondi, inseriti in cavità poco profonde, presentano rughe laterali a triangolo, mentre la fronte alta e stempiata è segnata da pieghe parallele.

In sintesi: la preparazione e lo sguardo

(una sorta di “check” prima di ogni sessione museale)

Studio preliminare – Conoscere l’opera e lo spazio, valutare luce naturale e vincoli di allestimento.
Dialogo con il museo – Coordinarsi con curatori e tecnici, chiarire obiettivi, tempi e limitazioni.
Attrezzatura essenziale – Portare solo ciò che serve davvero; evitare cavi e ingombri inutili.
Sicurezza prima di tutto – Muoversi lentamente, controllare cavalletti, cinghie, zaini e superfici.
Guanti di cotone – Indispensabili per ogni contatto con le opere o supporti vicini alle opere.
Controllo della luce – Luminanza misurata, riflessi monitorati, temperatura colore verificata.
Pazienza e ascolto – Rispettare il ritmo del museo, la luce che cambia, il tempo dell’opera.
Fedeltà all’originale – Ricordare che ogni scatto è prima di tutto un atto di testimonianza.

“Su concessione del MiC - Musei Reali, Museo di Antichità”
“Su concessione del MiC – Musei Reali, Museo di Antichità”

Fotografare la Storia: il busto di Cesare e la fotografia di opere d’arte

La scheda di un’opera d’arte è spesso un piccolo romanzo di dettagli.
Nel caso del busto di Giulio Cesare conservato ai Musei Reali di Torino, leggiamo di “un volto squadrato, con mento largo, bocca sottile catturata in un leggero sorriso che forma una fossetta sulla guancia, occhi piccoli e tondi segnati da rughe a triangolo”.
Ogni parola pesa, perché ogni ruga, ogni piega del marmo racconta la presenza viva di un uomo esistito duemila anni fa.

Eppure, se la descrizione scritta restituisce la forma, è la fotografia a restituirne la luce, a far emergere quella fossetta, quel bagliore negli occhi scolpiti, quel senso di vigilanza e di forza che l’artista antico volle imprimere nella pietra.
Nel nostro lavoro ai Musei Reali — nel silenzio controllato delle sale, tra luci misurate e riflessi difficili da domare — il compito è stato proprio questo: rendere visibile ciò che il tempo tende a nascondere, senza mai tradire la materia.

Fotografare un’opera d’arte non è solo “riprenderla”. È un esercizio di equilibrio tra rispetto e rivelazione.
Una luce troppo diretta può cancellare la rugosità del marmo; un’inclinazione sbagliata può spegnere l’intensità di un volto.
Per questo ogni scatto richiede studio, lentezza e la consapevolezza che la fotografia museale è, prima di tutto, un atto di interpretazione consapevole — tecnica, ma anche emotiva.

Fotografie della scultura del busto di Cesare
“Su concessione del MiC – Musei Reali, Museo di Antichità”

Dietro la fotografia: la preparazione di uno scatto museale

Prima ancora di varcare la soglia dei Musei Reali di Torino, il lavoro è cominciato con una fase di studio e confronto.
Il busto di Cesare e la fotografia di opere d’arte.
Dal museo ci sono state inviate alcune fotografie preliminari del busto di Cesare e dello spazio circostante, per permetterci di valutare in anticipo le condizioni ambientali e logistiche. È un passaggio fondamentale nella fotografia d’opera d’arte: capire dove si trova l’opera, come cade la luce, quanto spazio c’è intorno, se è possibile muovere strumenti o montare supporti.

Durante questa fase abbiamo avuto il piacere di collaborare con la dottoressa Daniela Speranza, una professionista di grande disponibilità e competenza — ma soprattutto appassionata del proprio lavoro, nel senso più vero del termine: chi ama ciò che fa, e lo fa con cura, rende ogni collaborazione più umana e più efficace.

Il fotografo di Opere d’Arte deve accogliere ed affrontare le difficoltà

Già da quelle prime immagini era chiaro che l’impresa non sarebbe stata semplice.
Il busto di Cesare è collocato molto vicino alla parete, in uno spazio elegante ma piuttosto ristretto: non era possibile montare i classici portafondali (autopole o stativi), che avrebbero occupato troppo spazio.
Abbiamo quindi ideato una soluzione su misura: un telo neutro arrotolato su un’asta, da srotolare manualmente dietro la scultura al momento dello scatto.
Questo è anche il bello della fotografia la parte artigianale e non solo tecnologica, questo riguarda tanti settori della fotografia, potete guardare sui nostri altri settori fotografici e vedere quante volte l’inventiva e la costruzione di oggetti specifici siano davvero utili nei diversi servizi fotografici dalle foto di e-commerce alle foto sportive.
Un sistema semplice, leggero e perfettamente adattabile, nato dall’esperienza e dall’abitudine a risolvere problemi pratici con un po’ di inventiva.

È una delle prime cose che insegniamo anche nei nostri corsi di fotografia d’opera d’arte: nessuna opera è uguale a un’altra, e nessuna situazione museale è identica alla precedente.
C’è chi ci ha visto arrampicati per scattare dall’alto, o usare un cavalletto come una sorta di ascensore per fotografare opere sospese o molto alte.
In questo mestiere non esistono soluzioni standard: ogni opera d’arte chiede il proprio linguaggio visivo, il proprio modo di essere raccontata attraverso la luce.
E la parte più bella è proprio questa: trovare, ogni volta, un equilibrio nuovo tra tecnica, creatività e rispetto per l’opera.

Arrivare al museo

Ogni ingresso in un museo è un piccolo rito.
Non è mai solo l’inizio di una sessione di lavoro, ma l’ingresso in uno spazio che appartiene alla memoria collettiva.
Varcare la soglia dei Musei Reali di Torino, con il nostro materiale tecnico sulle spalle, significa entrare in un luogo che custodisce millenni di storia: il passo rallenta, la voce si abbassa, e tutto — luci, strumenti, gesti — deve adattarsi a un ritmo più silenzioso.

Il primo pensiero è sempre per la sicurezza dell’opera.
Le attrezzature fotografiche, per quanto familiari, diventano potenzialmente pericolose in ambienti dove ogni oggetto ha un valore inestimabile.
Un cavalletto spostato distrattamente, un cavo lasciato teso, una borsa poggiata nel punto sbagliato: basta poco per creare un rischio.
Per questo adottiamo sempre una sorta di “protocollo personale”: movimenti lenti, zaini ridotti all’essenziale, cavi raccolti, nessun componente lasciato incustodito.

Cosa deve portare un fotografo di opere d’arte.

Quando ci è concesso avvicinarci alle opere, indossiamo guanti bianchi di cotone — un gesto semplice, ma carico di significato.
Il contatto diretto, anche solo per sistemare un supporto o verificare l’allineamento di un piedistallo, deve essere protetto da ogni residuo di untuosità o polvere.
Il guanto non serve solo a preservare il marmo: serve anche a ricordarci che stiamo maneggiando qualcosa di irripetibile, un frammento del tempo.

Nelle sale, la comunicazione con il personale del museo è costante.
Si lavora sempre in dialogo con curatori, restauratori e tecnici, perché ogni piccolo cambiamento di luce o posizione può avere conseguenze sull’opera o sull’ambiente.
Il fotografo, in questo contesto, non è un ospite ma un collaboratore temporaneo: parte di una catena di cura che unisce chi conserva, chi studia e chi documenta.

C’è anche un rispetto invisibile, quello per il silenzio.
Ogni click, ogni passo, ogni sussurro contribuisce alla qualità del momento.
La fotografia museale è fatta di attese e di ascolto — perché un museo non è un set, è un luogo che respira la storia, e bisogna imparare a respirare con lui.


Fine Parte I

Nel prossimo capitolo, “Dalla ripresa alla memoria”, racconteremo il lavoro invisibile della post-produzione museale: il momento in cui il file digitale restituisce la luce, la materia e la verità dell’opera.

Cesare e la fotografia di opere d’arte continua…